Una radio siciliana mi ha intervistato. Trovate tutto sul loro sito.

Perdona l’invadenza, mi chiedevo, sulla tua carta d’identità, alla voce “professione”, cosa appare?

Grazie a dio sulla nuova carta di identità, quella di plastica, non c’è più neanche la voce. Ma non mi sono salvato dall’impiccio, soprattutto con la burocrazia, per spiegare che tipo di lavoro facessi, quando mi sono iscritto alla camera di commercio. Immagina tre donne sui cinquanta inoltrati, che improvvisano una riunione per tentare di capire che cosa scrivere nella descrizione del mio lavoro quando ho aperto la partita iva. Il responso fu abbastanza fumoso e deliberarono un general generico “libero professionista”.
In realtà per anni mi hanno chiamato “montatore” e frasi tipo “Ecco, è arrivato il montatore” generavano un filo di imbarazzo generale. Rocco no, invece, lui non si imbarazza mai. Prima ancora mi dicevano “Mi fai un videino?”, che è una delle cose che odio di più ancora.

Quindi, la descrizione lunga del mio lavoro è: faccio animazioni video, 2D o 3D, con After Effects e Cinema 4D , Illustrator e Photoshop, per eventi, pubblicità, convention e televisione.
Per identificare tutto questo marasma poco chiaro si usa il termine “motion graphics”. La persona che fa queste animazioni, quindi, si chiama “motion graphics designer”.
Per complicare un po’ di più il tutto, grazie a Mou Factory, uno studio italiano di motion graphics, ho fatto anche tanti lavori di projection mapping, quei video enormi proiettati sui palazzi, in grado di dare l’illusione che tutta la struttura si muova o crolli o si buchi. Quindi, qui sul contratto hanno scritto anche “digital projection designer”.

Quindi, per tornare alla domanda, quando qualcuno mi chiede cosa faccio, di solito gli dico che sfondo i palazzi con la luce. Tipo un supereroe.

Splash Generation ha la presunzione d’essere una finestrella sulla nostra generazione. Una generazione strana. Una generazione costruita su nuove arti e professioni. Tecnologia, media e comunicazione avranno sicuramente contribuito ma non credi ci sia stato una sorta di giro di boa generazionale, un nuovo modo di creare i propri obiettivi ed il proprio futuro, una nuova maniera di credersi adulti?

Ci sono una valanga di nuove professioni e nuove possibilità, generate, come dici, da internet e dai nuovi media (penso anche al mercato delle app per i telefoni). Ma in Italia siamo ancora incastrati su modelli economici e contrattuali antichi. L’esercito di ex cococo e cocopro e di lavoratori con contratti a progetto non sono tutelati da leggi lungimiranti in materia di lavoro. Le università sono poco professionalizzanti e le scuole più specifiche costano una valanga di soldi. Le ultime statistiche sul tasso di disoccupazione poi non lasciano ben sperare (siamo al 37.5%). Quindi è un po’ complicato diventare adulti se non si riesce ad accedere al mondo del lavoro. Aprire una partita IVA è l’unica soluzione, ma anche in quel caso si parla di un meccanismo estremamente superato.

Nello studio di Londra dove adesso lavoro, la maggioranza è composta da immigrati come me. Io sono il più vecchio, a 33 anni. C’è un giordano, un francese che adesso si è sposato e ha due bambine e una svedese di 24 anni. Lei ha fatto una specie di università di 3 anni in cui le hanno insegnato compositing video, su Nuke e Flame (sono due programmi, ma conta che Flame costa sui 100 mila euro, e non esiste una demo per provarlo a casa). A 22 anni ha lavorato come compositor junior in uno studio pazzesco a Stoccolma e adesso è a Londra, con un’esperienza già di 2 anni. E con uno stipendio degno.
Io invece a 24 anni finivo la mia laurea in Scienze della Comunicazione, con specializzazione in Televisione, Cinema e Produzione Multimediale con lode e non mi andava di finire in una fabbrica della pianura padana. E dopo due anni di esperienza a Magnolia, la casa di produzione televisiva di Milano, sottopagato e sottoapprezzato, soprattutto, non mi hanno rinnovato il tredicesimo contratto a progetto.

Poi è successo il divano.

Il divano non lo auguro a nessuno.
Però insomma, sono sempre esperienze importanti, i divani.
Gli obbiettivi e il futuro sul divano diventano concetti ingombranti.
Gli obbiettivi, intanto, li abbassi, per poter avere un futuro, per poter affittare una casa, per poter iniziare ad essere grande. Ma anche così, non è mica facile avere un futuro.

Ho fatto mesi a mandare curriculum, senza ricevere risposta, anche nella fabbrica di cui sopra. Ho fatto anche un colloquio in Comune a Cremona. Pensa che roba. Per 800 euro al mese. E non mi hanno preso, che se no probabilmente sarei dipendente comunale adesso. E adesso c’è la Lega ad amministrare la città, per carità.
Quindi per fortuna che i miei mi vogliono bene e non mi hanno buttato fuori di casa, nel periodo divano. Per fortuna poi che ho iniziato per caso a seguire (non come stalker, eh) un ragazzo che fa il regista di eventi.
Il mondo degli eventi e delle mega convention aziendali è un mondo che, giuro, non capisco perché allo IULM non me ne abbiano mai parlato. Ma è così che ho iniziato tutto. E poi ho aperto la partita iva, con grande felicità del mio commercialista, e poi l’ho chiusa, con grande felicità delle mie tasche, e adesso sono a Londra.
Perché è vero che gli obbiettivi li abbassi per pensare al futuro. Ma se hai un po’ di ambizione, una famiglia che ti vuole bene e non ti dice che sei un bamboccione, buttandoti fuori di casa, e anche un minimo di sanità mentale per rimanere vivo nel periodo divano, allora piano piano ti avvicini tu al tuo obbiettivo, invece di abbassarlo, e poi ti ritrovi a vivere quel futuro che fino a qualche anno fa chiamavi sogno.

E hai ragione, se sto facendo quello che mi piace è perché visivamente sono cresciuto con MTV, con i videoclip di Gondry, Jonze, Cunningham e Corbijn, perché youtube mi ha permesso di conoscere nuove forme visive e, non solo, mi ha insegnato alcune cose grazie ai tutorial gratuitamente messi online. Ed è sempre con internet che ho capito che si poteva fare un lavoro così.

Faccio l’impertinente e ti chiedo: ti reputi un artista?

Non mi piace la parola artista e non mi piace neanche la parola creativo. E non è per falsa modestia, ma davvero non ci vedo dell’arte in quello che faccio.
Faccio un lavoro che mi diverte però, e in alcuni lavori vengo lasciato abbastanza libero per mettere in pratica quello che ho in testa, secondo una mia logica e un mio gusto.
Ma non è sempre così: ci sono clienti che ti portano a fare delle porcherie e, visto che pagano, puoi spiegar loro cosa secondo te è meglio, ma alla fine si fa come vogliono.

Piuttosto, immagino la mia professione simile a quella di un artigiano, tipo un calzolaio. Perché so usare certi strumenti per costruire qualcosa secondo determinati canoni estetici e di utilizzo. E se vuoi sono un buon calzolaio e qualcuno mi chiama perché vuole proprio le mie scarpe. Ma se arriva un cliente e mi chiede una scarpa con il tacco davanti, io glielo spiego anche che poi cammina male, ma se insiste e se è contento così, mi sa che gliela faccio anche.
Mi reputerò un artista quando mi sveglierò a mezzogiorno e non alle sette di mattina, nella mia casa in riva al mare, per colpa del telefono che squilla. E risponderò e dirò “E chi cazzo è a quest’ora che mi disturba!” e dall’altra parte ci sarà una superstar tipo Madonna che mi dice “Eh scusa Nicola volevo chiederti se potevi farmi un videino” e lì impazzisco e la mando a cagare e torno a dormire. Ecco.

Colapesce canta “Chiudi valigia e vai lontano ma lontano poi da dove”. A tal proposito, Londra ha chiamato e tu hai chiuso la valigia e sei partito, perché siamo un popolo di emigranti o una generazione in fuga? O semplicemente perché la vita ti porta in dono opportunità che non si possono rifiutare?

In realtà Londra non ha chiamato. Io ho bussato più e più volte senza che nessuno rispondesse. Non mi sono scoraggiato, ho lavorato ancora più duramente. Da settembre 2011 a febbraio 2012 ho realizzato mapping per Genova, Lugano, Barcellona, per Radio Deejay, per BMW a Roma e ho partecipato ad altri video, diciamo, minori. Poi è arrivata la tanto attesa crisi, di cui tutti parlavano, ma che fino a quel punto non ci aveva toccato.
E un martedì mattina di febbraio, mentre ero a letto, durante la prima settimana di niente lavoro, ho ricominciato a mandare i miei curriculum e il mio showreel in alcuni studi di Londra. E dopo un’ora, giuro, dopo un’ora il cellulare suona ed era +44. Ho cominciato a sudare freddo e sono rimbalzato in piedi.
In quel martedì mattina mi hanno poi risposto altri via email, il giorno dopo ho comprato un biglietto d’aereo per andare a sostenere un colloquio la settimana successiva. E poi in quella prima settimana a Londra i colloqui sono diventati 11. Emozioni che ancora non riesco a descrivere, anche si ci ho provato tante volte. E dopo un’altra settimana, Smoke & Mirrors, uno studio nel centro di Soho, mi ha chiesto di rimanere per 3 mesi. E poi a tempo indeterminato.

Il 2011 è stato un anno complicato, su vari fronti. Ora non voglio scendere nel dettaglio anche perché potrei risultare ultra drammatico. Diciamo che sono arrivate quel paio di notizie che mi hanno tirato uno schiaffo tale che sto girando ancora e, ecco, mi sono dato del coglione a non essere mai partito, ad averlo detto spesso, ad essere anche risultato noioso quando parlavo di quanto bella è Londra. Solo che non lo si fa mai per qualche motivo. Il mio era una sorta di inerzia, che lo status quo non era poi così male.
Alla fine il difficile è lanciarsi. Arriva la vita a tirare calci nel culo, però, e quasi ringrazio di aver ricevuto quel paio di schiaffi.
Per rispondere alla tua citazione di Colapesce, io non credo di essere andato lontano. Credo di essermi avvicinato agli obbiettivi che ho in testa per me.
Oh, adesso non è che sono il re del mondo. Ché gli schiaffi arrivano lo stesso, ma poi la mattina esco e fa un freddo cane e piove, ma a Londra sto bene anche se piove.
Nel 2011 a Cremona non ero felice anche se c’era il sole e i fuochi d’artificio e tutte le sere il cotechino.

Sto “sfogliando” il tuo portfolio ed, a parte lavori per nomi celebri che vanno da: BMW, Radio Deejay, La Rinascente e molti altri, ho trovato una collaborazione per il “Kappa Futurfestival” di Torino com vj set. Parliamone.

Il motivo della mia presenza ad uno dei festival più importanti di musica techno pesantissima è Fiorello. Che se ci pensi, detta così fa anche ridere. Sono stato in tour con lui per 14 mesi, durante i quali ho lavorato con professionisti incredibili, fonici, tecnici luci e video, rigger e macchinisti che sono stati un po’ la mia famiglia nelle 60 date di show. Alessio era il tecnico Pandora’s Box, un media server da cui mandava i miei video che erano parte dello show, ed è sempre Alessio lo stage designer e light designer del Movement e del Kappa Futurfestival di Torino. I miei progetti sono piaciuti alla produzione del festival e mi hanno chiesto di fare il vj per Movement 2010, Kappa Futurfestival e Movement 2012.
È un approccio un po’ diverso dal solito lavoro e mi piace molto: prima immagino una linea creativa da seguire, realizzo le mie clip con After Effects e Cinema 4d, prendo l’aereo, vado alla serata, mando le mie clip con un programma in grado di creare on-the-fly degli effetti grafici (si chiama VDMX), bevo qualche birra, vado in hotel, prendo l’aereo e torno a casa.
Questo è ancora quello che vorrei fare nella vita, magari per band enormi. E prima o poi il signor Chemical Brothers magari mi risponde.

Occhioni azzurri, barbetta incolta e sorriso malizioso. Sei un uomo. Un bell’uomo. Se quell’affascinante uomo alza lo sguardo e prova scrutare più in là cosa vede?

Glisso amabilmente sull’inizio della domanda perché mi imbarazza molto. Però, insomma, grazie, la mia autostima ringrazia molto.
Sai quella cosa degli obbiettivi che ti dicevo poco più su. Ecco, io penso che bisogna continuamente alzare l’asticella per essere contenti. E quindi a volte penso a New York. E tante volte penso ai Chemical Brothers (mi leggete?). Ancora più in là penso a Cagliari, che il massimo della vita sarebbe essere riconosciuto come un professionista a livello internazionale e poter aprire uno studio mio in riva al mare, che vuoi mettere fare delle conference call con un’Ichnusa e i piedi all’aria calda della Sardegna?

Se ti dico “Splash” cosa ti viene in mente?

Mi viene in mente quando ero bambino ed ero in montagna con i miei genitori e ho messo un piede in una mega cacca di mucca e poi mi hanno lavato le gambe dentro al lago Nambino, perché, sì, avevo la merda fino alle ginocchia.
Penso all’estate e i gavettoni e Sabrina Salerno che fa il concorso di miss maglietta bagnata. O forse Samantha Fox. Ok, i miei riferimenti culturali sono abbastanza anni 80, lo ammetto. E decisamente tettuti.
Penso a Pollock e all’action painting, alla mostra che c’è adesso alla Tate Modern e non sono andato ancora a vedere, mannaggia.
Splash. Un mega orgasmo. Ma di quelli giganti che tolgono il fiato e ribaltano gli occhi. E poi devi girare il materasso.
Penso a Drop che è una canzone dei Cornelius che mi piace tanto e c’è il video proprio bello.
Penso all’inchiostro nell’acqua e di quella volta che ho fatto un video per il Principe di Savoia. Non il signore eh, l’albergo.
Penso allo schiaffo che ti fa fare prendere delle decisioni un po’ grosse e la guancia fa male ancora e però a volte sorridi lo stesso.
In realtà la prima cosa che m’è venuta in mente è la barzelletta più brutta del mondo, quella dell’uomo che entra in un caffè. Scusa.