Paolo attacca Radio Jam, 17.9FM, paura sul beat in cassa.rullante.charleston. Inizia ad oscillare la testa, e ad urlare contro il parabrezza dell’auto, spinta a velocita’ impossibile sulla via del non ritorno, mentre si accende l’ennesima Camel e pensa al prossimo sms da spedire.
Fuggi da me? Non fare la puttana! Ancora mi cerchi? Non fare la puttana! E tu speri ci sia? Non fare la puttana! Di meglio non hai! Non fare la puttana! Ma chi ti ascolta mai? Non fare la puttana! Ti guardi alle spalle? Non fare la puttana! Ti sparano alle palle? Non fare la puttana!
Spegne il telefono, stacca la batteria, lo scaglia contro la portiera di destra e urla. Coglione di merda, lo sapevi, lo sapevi, lo sapevi, cazzo! Sei un povero coglione, tu non sai fare Tranqi Funky manchi di coordinazione… pensa, mentre guida a gattoni e non controlla le mani che vibrano come fossero in preda al Parkinson.
Odio la gente che continua a promettere che mi presentera' a qualcuno perche' so trasmettere Quando in verita' io sto cercando di smettere cammino a gattoni faccio fatica a connettere
Domani sara’ un giorno differente. Non pensare piu’ a quello che potrebbe essere. Non e’ vero che poteva esserci qualcosa. Sei una merda di ottimista. Comprati L’amore liquido e muori sopra di esso. Ecco.
Fanculo a te e al tuo ottimismo sfrenato.
Da domani ricomincia a fare per conto tuo.
Paolo, ricorda, sei solo. E solo rimarrai, per forza di cose, per un sacco di tempo.
Grazie al cazzo.
Ci siamo andati vicini, vero?
Cazzo! Cazzo, se ci siamo andati vicini!
Una vita insieme, ci siamo andati vicini, cazzo.
Ma come si fa a non credere al destino, certe volte, eh?
Bastava tanto cosi’ per essere felici…
…ed ora? Cosa posso fare?
Assolutamente nulla.
Appena dopo la pausa pranzo, mentre cerca un preservativo nel cassetto di Paolo, gli capita in mano un foglietto. La grafia e’ di Gianni.
Lo accartoccia per bene, lo pigia in fondo e porta il palloncino da cazzo al suo capo, pronta per una possibile (e probabile) promozione.
E shhh…. di stanotte fa’ che non rimanga traccia nella tua memoria a gruviera, rimani pura di fronte agli occhi d’amore sincero. Ipnotico afono sospiro rimani distante da cio’ che doveva essere ma non e’ stato, pur di fronte a centinaia di prese di posizione.
Stomaco in frantumi accompagnami durante questa notte d’inferno, verso lo scivolo del termine di un quarto di vita.
E amen, fratelli!
La testa ronza, l’occhio langue nel torpore di un settembre novembrino proprio mentre lo stomaco inizia un litigio con l’intestino e l’esofago, mettendo in moto una rumba dall’agrodolce retrogusto di merda liofilizzata. In radio una canzone che, di nuovo, finisce per parlare di ricordi.
Ma e’ costretto a reggere la propria spina dorsale ammaccata e a rigare dritto. Non doveva aspettarsi niente e niente avra’ di sicuro. Quindi passi lunghi e ben distesi. Sta arrivando il weekend, Gianni, sta arrivando… tieniti lucido per domani sera, e vedrai che qualcosa di buono in questa minchia di citta’ succedera’. E se non succedera’, faremo in modo che capiti.
Fanculo.
D’improvviso si aggorge di ritrovarsi a pensare a quelle notti passate con la bella sconosciuta, quasi un mese fa.
Il tutto mentre si sta tirando su i pantaloni, chiuso nel gabinetto del Bar Magenta di Corso Garibaldi, dopo che il solito cappuccino e sigaretta, postumi dell’ennesima sbornia di alcool e figa, l’hanno costretto al rituale mattutino della cagata a spruzzo.
Seduto ad un’estremita’ del divano, il culo fuori dal cuscino, la schiena spezzata tra sedile e schienale. La bava liquida e trasparente del sonno stempera quella macchia di sangue che si si e’ raggrumata proprio accanto allo sputo bilioso della notte precedente, creando una moltitudine di sfumature cangianti, sulla camicia di seta indaco.
11 novembre 1999, ore 02.20 circa di notte.
Punta pianta tacco, punta e via sull’altro piede tutto il peso di un woofer che schiaccia lo stomaco e fa salire l’adrenalina e sudore e calore.
Occhi chiusi, per carita’, stroboscopicamente riaperti ogni tre battute.
I’m the bitch you hated, filth infatuated…
I’m the pain you tasted, well intoxicated…
Capelli attaccati in fronte, mani che spingono la botta sonora, schiena curva, si rimbalza di nuovo.
Sorrisi, frasi urlate nelle orecchie, luci e il suo profumo.
Paolo e Joe al tempo si vedono raramente, mai durante la settimana, casualmente nel weekend. Ma la percentuale di probabilita’ impenna drasticamente quando il dj fa partire quel pezzo.
I’m a firestarter, twisted firestarter!
You’re the firestarter, twisted firestarter!
La pista inizia a saltare. Paolo gonfia le guance e genera un boato di urla. Se e’ a bere al bar, si fa spazio nello struscio e si piazza davanti alla console. E’ li’ che incontra matematicamente Joe. L’uno di fronte all’altro, poi, costringono la pista ad aprirsi, un po’ come Mose’ con le acque rosse. Qualcuno li guarda male, qualcuno tira qualche gomitata. Qualcuno partecipa al rito estatico del ballo sfrenato.
Punta pianta tacco, punta. BOOM!
I’m the self inflicted, mind detonator
I’m the one infected, twisted animator
La Fra e’ sempre vicino a Paolo. Joe li guarda, sorride. Stanno bene insieme. Ballano nella stessa maniera, piu’ che morosi sembrano fratelli. Guarda come ridono insieme! Non la smetteranno mai di fare gli stupidi…
E in quella trinita’, pensano che la felicita’ non possa mai avere fine.
La giornata di melassa, lenta e silenziosa, sembra non avere il minimo senso.
Da giorni le tapparelle rimangono abbassate, come a conservare il fiore reciso della ritrovata malinconia che da anni accompagna la vita di Anna.
E se per alcuni mesi, insieme alla sua migliore amica, e’ riuscita ad essere la spalla di giochi esotici e bizzarri, ora, ahilei, sente che tutta quell’area del cervello che produce felicita’ e serenita’ ha lavorato troppo e ha deciso di andarsene in ferie, senza preavviso.
Colpevole delle proprie lacrime, si barrica sotto le coperte, legge un libro inutile e spera che nessuno la chiami.
Quando il bambino era bambino, se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume, il fiume un torrente, e questa pozza il mare.
Quando il bambino era bambino, non sapeva d’essere un bambino.
Per lui tutto aveva un’anima, e tutte le anime erano tutt’uno.
Quando il bambino era bambino, su niente aveva un’opinione.
Non aveva abitudini. Sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via.
Aveva un vortice tra i capelli, e non faceva facce da fotografo.