Nostalgia . E’ forse un modo piu’ romantico e ipocrita per chiamare il senso di colpa che strugge l’uomo consapevole di aver sprecato il proprio tempo, per cosi’ tanto tempo?
Jamal rastrella la sabbia con i calli del piede, mentre gli occhi color del vetro seguono file di formiche indaffarate. I movimenti sono lenti, ma ogni muscolo e’ in tensione, con il collo incassato nelle spalle e la schiena sorretta dalle braccia appoggiate alla panchina di granito che fa pizzicare i palmi delle mani. Quella panchina e’ tutto quel che ha. Insieme ad un bagaglio di ricordi.
Come un dinosauro, ruota il collo verso Paolo. E si stupisce nel vedere un ragazzo con gli occhi chiari quanto i suoi, prostrarsi in uno sguardo talmente arreso da fargli paura. E se fino a pochi secondi prima Jamal era consapevole di aver bisogno di chiunque, ora sa che puo’ essere lui stesso utile a qualcuno.
Nuova linfa inizia a scorrere, e come una quercia secolare tenta di creare un contatto con il ragazzo spostando il suo braccio macchiato dal tempo vicino al suo.
Paolo sembra rinvenire.
Si fissano entrambi, ora. E i gabbiani e la risacca e il cinguettare e il chiacchericcio tacciono ora per lasciare spazio a quell’unione improvvisa di vite cosi’ lontane.
Bonjour
Salve…
Punto, a capo.
Qualcosa inizia a vibrare, proprio mentre le formiche continuano il loro ineluttabile destino.

Al Pain Chaud #7 il tempo sembra si sia fermato qualche anno fa. La brasserie di fronte ha cambiato gestione gia’ tre volte in dieci anni, il negozio di souvenir accanto ha spostato l’orca gonfiabile in ogni cantuccio immaginabile, con ben poca fortuna, ma il Pain Chaud #7, tranne una tinteggiatura veloce, rimane sempre uguale.

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L’inferno di seta, costruito in intrecci di colpe e scuse, cosi’ sbagliato.
I pensieri scricchiolano e gracchiano nel corpo nudo e mutilato di occhi e bocca e orecchie e senso. E se nel cielo volano memorie, sotto i moncherini in infradito, liquami di lava e interiora.
Un colpo secco, nell’uniforme frastuono monotono e grigio. Volgo lo sguardo, ruotando la testa. Ma non ho piu’ ossa e la testa si arriccia sulle spalle, strozzando la lingua, sminchiando occhi e trachea e pulviscolo di sperma. Crollo, senza peso. Una chitarra viola, un ghigno e un addio.

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Anna ha riaccompagnato mia madre a casa stamattina. Saranno state le otto, non lo so. Per l’ennesima volta era sbronza schifosa, con l’abitino che le aveva regalato papa’ un paio d’anni fa, quello tutto tagliato di sbieco, con i buchi nella schiena. Doveva essere rosso, ma oggi ha una bella macchia verde bile proprio sull’ombelico. Mirra misto sbocco, come profumo globale. Se almeno oltre a mia madre vomitata avesse portato al sottoscritto un paio di briochine appena sfornate, giusto per coprire il puzzo di marcio, sarebbe stato un gesto neanche troppo stupido. E invece Anna molla il sacco di patate sul divano di piume d’oca, proprio nel posto dove si sedeva papa’ per ore. La gonna e’ salita, e vedo quella specie di perizoma striminzito che tenta, con scarso successo, di contenere il buco da dove sono uscito io. Non un gran inizio giornata… che continua sui medesimi binari.

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Quell’uomo in bandana che si muove come epilettico la fa ridere. Pensa che con uno cosi’ mai ci perderebbe anche solo cinque minuti della sua vita, grassoccio, gia’ negli “anta” e probabilmente superati, griffato dalla testa ai piedi. Si vede dalla scarpa lo scopo del suo martedi’ sera al Nuvolari; si vede dall’occhio, invece, che non ammette cambi di programma.

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Lo Scorpione Tennis Team e’ in finale. Gran parte del merito va a Gaspare, quarantunenne piacentino un pochino sovrappeso, convinto che per avere una bella donna devi pagare. E profumatamente. Passa l’inverno a Cortina o a Campiglio, l’estate tra Rimini, Riccione, Saint Tropez e altri lidi dalla facile chiavata (a pagamento). Il tutto con una mentalita’ molto, troppo anni Settanta.

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