Non c’e’ tempo per fare domande.
Quello era Jamal, il principe dei barboni. E’ lui, o meglio, era lui. Ma che gli e’ successo? Dov’e’ finita la sua barba, le sue infradito. Da fenomeno da baraccone si e’ trasformato in un turista qualunque.
Vorresti raggiungerlo, ma le gambe non rispondono agli stimoli cerebrali. E’ normale, pensi. Sono lobotomizzato. Funzionano cosi’, le lobotomie, quelle del nuovo millennio. Entri in una cabina telefonica, appoggi il padiglione auricolare sul’altoparlante della cornetta, in modo che i fori d’uscita muovano l’aria e trasmettano, per moti di compressione e rifrazione e riflessione le parole della tua fidanzata che, mentre tu sei lontano qualche kilometro di terra e mare, ti annuncia la sua immediata partenza. Per ulteriori milletrecento kilometri.

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Sono evidenti i tuoi giochi.
Gianni e’ come se avesse indossato gli occhiali a raggi X venduti dai giornali scandalistici per acquisire una capacita’ al limite del soprannaturale per decifrare parole e atteggiamenti di esseri viventi di genere femminile. Fatto, per altro, per lui non gia’ raro, ma semplicemente unico. Lui che per anni si e’ ritrovato in balia degli umori di sua moglie, attendendo telefonate fremendo e inveendo contro un cellulare che non voleva suonare; lui che ha conosciuto il verme che buca i polmoni e lo stomaco, il verme della gelosia; lui, derubato del sorriso, in favore del sorriso altrui…
Sono evidenti i tuoi giochi e ti ho scoperto.
Pensa violentemente.
Vanita’.
Potere.
Avere attorno qualcuno che ti ama e’ divertente, si?
Ma dall’altra parte, due emisferi che lottano l’un l’altro, vorrebbe chiamarla e dirle che gli dispiace.
Grazie al cielo stasera Nino gli ha fatto una bella sorpresa ed e’ venuto a trovarlo, ed insieme a lui ha bevuto uno sproposito.
Per fortuna ora gli occhi si chiudono e non e’ escluso che stanotte riesca a dormire.
Sempre e comunque con il cellulare stretto in mano, suoneria al massimo, solo per lei.
Pur cosapevole che stanotte nessuno chiamera’.

Cara Anna, patetica quanto te ne ho conosciute veramente poche.
La tua insicurezza mi nausea. Tanti saluti.

Sfuma e socchiude ogni speranza il grigio stantio dell’umido padano, su asfalti e calcinacci, dopo litri di bevande corroboranti a base di anice e luppolo.
Hai ancora il suo profumo tra le dita, mutilate da un addio necessario per ricominciare a vivere.
Ti manchera’ Jasmine, caro dolce Nino. L’hai amata come nessuno altro mai potra’. Ma e’ stupido illudersi che lei potra’ mai amarti in questa maniera. E potra’ anche essere la tua migliore amica, una sorella, la confidente adeguata a tristezze momentanee e immotivate piuttosto che di depressioni antiche quanto tuo padre, ma ogni volta che la guarderai vedrai dietro ai suoi occhi di squalo la serenita’, non gia’ il magma che in un tumulto ti trascina e ti liquefa fino alla qui presente ubriachezza nauseante.
Ti manchera’, le mancherai.
Con il piccolo scarto che tu non ce la farai mai a dimenticarla e la cercherai in ogni follia di ogni altra donna, purtroppo senza successo. Lei forse avra’ piu’ fortuna.
Ora e’ inutile piangere.
E’ andata.
Lascia che la nebbia #1 ricopra e disintegri le case quanto i tuoi sensi e quella testa che non fa che pensare a lei. Sfuocala. Sbiadiscila. Perdila per sempre, se ne sei in grado. E ricomincia a vivere.

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Ci sono alcune sere in cui mi costringo a tornare a casa con gli occhi abbassati, strisciando contro i muri del mio palazzo. Sono quelle sere che inspiegabilmente riesco a fare zero rumore sulle scale (o almeno cosi’ mi pare), e fisso l’alternarsi del marmo degli scalini. Rosa. Bianco. Rosa. Bianco. Muri gialli. Vomito, tra poco.
Inserire la chiave nella toppa significa tremare e agitarsi in una tachicardia di supposizioni. Una volta girata la maniglia, non ci si puo’ mai immaginare la scena a cui ci troveremo di fronte. Alcune sere lei trabatta con le pentole, lui sprofonda nel divano a piume d’oca di fronte ad una pagina del Televideo. Altre sere se la ridono guardando quel tizio pelato che fa delle domande un po’ stupide alla gente. Altre sere si urlano, gesticolano, sputano manco fossero dei lama.
Ma mi bastano 10 secondi e mezzo per entrare – togliermi un pile – fare le scale a chiocciola e sedermi di fronte al pc, o sbragarmi sul letto, a faccia in giu’.
Paolo, questo sei tu, qualche anno fa, ti ricordi?

Commuoversi sempre, apnea.
Il telefono suona la marcetta, ma dall’altra parte tuo padre ha una voce da oltretomba.
Sono le quattro del pomeriggio e ancora non sai se fuori c’e’ il sole o no.
Puzza di pioggia non c’e’, perlomeno.
Pronto? Ciao pa’.
E riattacca con la tiritera solita.
Dice che senza tua madre non ce la fa piu’.
Dice che l’altro giorno ha fatto dei casini anche al lavoro.
Dice che non pensava che gli potesse mancare cosi’ tanto Nino che, da quando esce con Jasmine, non e’ piu’ lo stesso.
Che ha un sacco di tic nuovi, e che se si guarda in bocca trova un mucchio di piaghette bianche.
Click.
Si, ciao pa’, anche io sto bene. Si… piacerebbe anche a me chiaccherare un po’ con te e raccontarti cosa mi frulla per la testa in questo periodo di merda, ma a quanto pare non hai bisogno di sentirmi parlare di certe cose. E’ proprio vero che quando si sta male si diventa anche tremendamente egoisti ed egocentrici. Come se il nostro male sia in competizione con quello di chi ci sta vicino e, necessariamente, superiore a qualsiasi dolore altrui.
E comunque e’ sabato. E stasera e’ sabato sera. E devo darci dentro.
Dov’e’ che ho dimenticato il sorriso da ebete? Forse in quel cassetto laggiu’?
Grazie pa’, si, si, ciao, ti chiamo io quando mi saro’ dimenticato per l’ennesima volta che sei in grado solo di farmi del male. Che non sei proprio capace di dimostrare il bene che mi vuoi. Che non mi fido di te.
Bastardo troppo consapevole che non posso fare a meno di te.

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E quando anche l’ultima fiamma della rinverdita primavera si estingue in gocce di fumo in costante loop attorno ad un’ossessione, quando l’ennesimo urlo si sara’ strozzato nel liquido lento e viscoso di un tiepido pomeriggio di lacrime immotivate, quando vedrai il sole lontano di una luna che sembra un faro a mezz’aria, schiantato di fronte al tuo zenith, capirai il senso dei quattro quarti di un cuore impazzito nella improvvisazione del lento divenire quotidiano.
[l’odore acre e penetrante della sconfitta]

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Un organo e una batteria lontana, misero riverbero a bassa fedelta’. La notte senza sorrisi vuole i titoli di coda senza attori principali, solo con comparse anonime. La notte semplice e idiota si chiama When your number isn’t up, diffusa lenta e sottovoce – roca fino in fondo – dall’impianto nascosto nei muri della casa ordinata, pulita. E impeccabilmente vuota.

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