Ti piace la borsa gialla? Acquistane una blu!

Peso 70 kg scarsi. Forse sarebbe più corretto dire che peso 65 kg abbondanti, via. Non che sia sempre stato sottopeso nella mia vita, anzi. Credo di aver toccato i più dieci, qualche anno fa.

Ma quest’estate ho deciso di passare la mia villeggiatura in pensione completa all’Ospedale Maggiore, dove mi si rimpinzava di zuppe, minestrine, prosciutto cotto e purea. La purea dell’Ospedale Maggiore è praticamente la versione insipida e gelatinosa del per sempre rimpianto purè della nonna, praticamente il suo gemello cattivo tenuto in catene in cantina che un giorno si libera, sale le scale due gradini per volta, tira una pedata alla porta blindata, con una risata satanica. E tu lo fissi, completamente immobilizzato e con il terrore che ti congela le articolazioni, che non si sente tutti i giorni una purea che ride in quel modo, e dici “no, non può essere! la perfida purea si è liberata!” e ti dimeni ancora mentre si scaglia di gran carriera sul tuo desco, cadendo e rimbalzando sul piatto, con l’imperativo di essere mangiata, forchettata dopo forchettata, la purea come mastice nella tua gola, ricetta segreta dell’incubo culinario.

E’ insuperabile, poi, la combinazione della purea con il prosciutto cotto, salume di chiara fabbricazione svedese, il fanalino di coda degli affettati, difficilmente paragonabile agli intoccabili mostri sacri della tradizione suino-gastronomica tanto cara alla pianura padana, impensabile variante più salutare del prosciutto crudo, lontano anni luce dal mai abbastanza osannato salame, dall’impeccabile culaccia, della proletaria mortadella, dallo strolghino da centellinare, da michette imbottite con coppa, pancetta, lardo, pancetta lardellata o lardo pancettato.

Ma questo è il menù per i degenti e non sia mai che mi metta a discutere con lo chef, ci mancherebbe, sarebbe gesto poco fine e quantomeno sconveniente, data la mia cagionevole posizione. Poco eretta, per giunta.

Comunque, da quando la mia vacanza in medicina generale è terminata sono tornato di fronte al mio computer a lavorare, poggiando il mio gentil culo su una Nominell.
Nominell, esatto. Già dal nome dovevo capire che da qualche parte ci stava la fregatura, cristosantissimo, ma no, io mi ostino a comprare ancora all’Ikea oggetti che nel giro di due mesi so già che crollano. Eppure quando vai nei loro negozi ci sono questi magnificenti show room tutti preparati a puntino, dove monomicrolocali sembrano ville di tre ettari perfettamente abitabili, in cui ti chiedi come tu possa aver vissuto trenta inutilissimi anni della tua vita senza avere un vaso Vasen o almeno un oggetto della serie Grundtal in cucina, affrettandoti poi ad infilare un porta carta assorbente, uno scolapiatti, due liste magnetiche sulle quali attaccare qualche porta spezie, stupendoti di quanto siano intelligenti i loro designer, il tutto, dicevo, infilandolo nella borsa gialla Ikea.
E qui iniziano i guai.
Perché da sempre vuoi la borsa gialla dell’Ikea. E ogni volta ti scontri in questo loop commerciale, di cui esiste anche un cartello chiaramente stampato e affisso nei negozi, “Ti piace la borsa gialla? Acquistane una blu!”, un vortice da cui non se ne esce nemmeno se implori direttamente il signor Ikea di concederti la grazia, signore, datemi la borsa gialla, vi prego!
E non se ne capisce il motivo. Sta di fatto che dentro all’Ikea puoi passeggiare tranquillo e beato con la tua borsa gialla, ma non ne vogliono sapere di vendertela. Ficcatelo in testa: la borsa gialla non la puoi avere. Calàti come siamo in una società in cui tutto è acquistabile e vendibile in qualsiasi modalità mente umana possa concepire, che sia al dettaglio, all’ingrosso, all’asta, in regalo, come baratto o come furto o come astuto raggiro, questo diniego suona come un’imposizione imprevista e fascista.
Io voglio la borsa gialla. La voglio e come cliente la pretendo. La pago, fate voi un prezzo e la avrò. Perché così funziona il capitalismo liberale, luridi fascisti stalinisti!

E invece no. La borsa gialla mai sarà tua. Scordati le passeggiate in riva al fiume, con la tua ragazza che ti tiene una mano e l’altra che regge la borsa gialla. Dimentica le serate di gala con la borsa gialla come accessorio inappuntabile. Da abbinare ai calzini, quel giallo che nemmeno un Pantone sarà mai così perfetto.
Perché tutto è in vendita dentro all’Ikea. Ma la borsa gialla no.
Anche il carrellino giallo che porta la borsa gialla non lo puoi avere giallo, ma solo blu. Come se la sorte della borsa gialla fosse un’infezione transitiva e irreparabile. Ma il carrellino giallo, se vuoi, lo puoi riverniciare, capirai. Ma la borsa gialla no, non puoi modificarla. L’unico modo sarebbe rubarla, ma non puoi rischiare sicuri anni di prigione per una borsa gialla, no? E soprassediamo pure, fingiamo che tu non ci abbia mai pensato, su.

Quindi infilo la Nominell nella borsa gialla, che dopo la cassa sarà sostituita con una borsa blu, mi rinchiudo in macchina e, come sempre, non sono ancora in casa che ho già aperto la scatola, rompendo il nastro adesivo con il più antico coltellino svizzero della storia umana (il mazzo delle chiavi di casa), già felice di dover assemblare un nuovo gioco, pregustandone la sensazione al tatto dei singoli pezzi, controllando ¬ che ci sia la fondamentale brugola ¬, di cui ho una piccola collezione, ¬ tutte identiche ¬, il tutto mentre sto guidando, che mi ritrovo a pensare che l’Ikea sia la naturale conseguenza della generazione Lego, di cui fieramente mi sento di far parte, in cui segui le istruzioni e monti per benino tutto quanto, ordine dal caos, modestamente.
Con la piccola nota a margine, una posteriore errata corrige della propria elucubrazione: che probabilmente sarebbe stato più opportuno farsi una libreria con i Lego davvero. Che almeno non sarebbe così imbarcata adesso.

E la Nominell, la sedia d’ufficio su cui il mio gentil culo di cui sopra è poggiato, non mi costringerebbe a questo sali scendi continuo.
Perché, come dicevo, anche se peso poco più di 65 kg, dieci in meno di quando sono entrato in ospedale, questa Nominell, la cui seduta è regolata in altezza da una pompa a gas, lentamente cede. E quando venti minuti fa ho iniziato a scrivere ero seduto correttamente con i gomiti ad angolo retto e la schiena perpendicolare al pavimento, ora sono seduto quindici centimetri più in basso, con i gomiti sollevati, la schiena incurvata e mi sento come il nostro amato ministro Brunetta alla scrivania.
Ora che ci penso, probabilmente è stato direttamente Brunetta a progettare la Nominell. Mica che puoi rimanere seduto a lavorare tranquillo: ogni venti minuti devi alzarti, far risalire la seduta, sgranchirti le gambe e ricominciare da capo.
Un altro loop. E ancora. E ancora.

3 Comments

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Francoreply
30 August 2011 at 07:37

Ne ho 4 di borse blu, che forse in realtà avrei voluto fossero gialle!
Mi piace!

Lukareply
3 May 2012 at 21:38

Proprio oggi mi sono imbattuto nell’avviso all’IKEA, ed ho pensato esattamente lo stesso.
Bell’articolo. ;)

Andreareply
8 June 2012 at 11:21

L’Ikea usa il colore delle borse per distinguere i suoi clienti: quelli che usano la borsa gialla sono acquirenti sporadici e saltuari, quelli che comprano la blu e la portano con sé nel negozio sono clienti abituali che i commessi hanno l’ordine di trattare con più cura. Lo so…è inquietante, ma in base al colore della vostra borsa, verrete trattati in modo diverso…. per questo l’Ikea non vi venderà mai la gialla….

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