Non e’ proprio la giornata. Men che meno la serata.
Una bottiglia di whisky puo’ servire, mille sigarette sono solo la cornice per la faccia che si auto-infligge nostalgia e mendica ricordi.
Mark Lanegan suona in sottofondo.
Cento giorni, mentre il crepuscolo torna puntuale, e non sento ragione, faro’ sempre uguale.
Like one long season of rain, I will remain
Thinking of you…

Paolo s’allunga, occhi socchiusi, solo.
Gianni non risponde alle sue telefonate.
Sua madre pare sia ritornata nei ranghi, anche se e’ preoccupata per Anna.
Ha sentito Fra al telefono, alla fine, ma ogni frase e’ stata sciacquata di idiozie. Non cambiera’ mai, anche se rimarra’ sempre l’unica.
Di Joe non ha notizie.
Gaspare e’ sempre piu’ disilluso.
Ubriaco com’e’, al bancone del Son de guitar, pensa alla sua vita come se fosse quella di un personaggio di un libro. Fino a quel momento avrebbe potuto essere qualcosa di comico.
Ora si rende conto di essere una marionetta di un gioco drammatico e macabro.
Ho chiuso con me, dice.
Fatemi ruttare l’anima, dice.
Non sono ancora libero, dice.
Basta cosi’, facciamola finita, pensa.

Inutile sprecare ulteriore fiato, dare altra importanza ad un fatto di per se’ futile.
Rimane solo una cocente delusione verso gran parte del genere umano, la consapevolezza di essere stati ingenui e la ferma promessa di ripensare a rapporti con persone evidentemente troppo idioti.
Anna si mette le mani nei capelli, poi si fa passare la mano sul viso, cercando di coccolarsi da sola.
Ora, pensa, basta cosi’. Non mi sprechero’ mai piu’ con persone che non meritano un secondo della mia vita. E smettila di pensare da stupida ottimista che gli altri siano tutti quanti esseri pensanti. Ti sbagli, cazzo, Anna! Ti sbagli! Ma testona come sei devi andare fino in fondo alle cose, prima di capirle, vero?
Tira fuori il piumone dall’armadio, aria condizionata a diciotto gradi, un peluche, Casablanca e a letto senza pensieri.

Tutto quanto e’ uno schifo.
Sentirsi rinfacciare cose antiche di cinque anni, no, proprio non ci voleva.
E’ necessario, dopo un accadimento del genere, ripensare ad ogni azione, pensiero, emozione condivisa con quella persona. Se non ti ha mai perdonato, quanto e’ stata ipocrita, allora? Fingere di aver dimenticato.
E tutto da suo figlio.
Conato di vomito.

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Una settimana intera a Ibiza.
Spiaggia e mare, sole e vodka. E poi donne in bikini, costumini striminziti in due pezzi strabilianti all’uncinetto o lycra ultratecnologica. Smagliature megasexy, strabismi di venere, perfezioni addominali, microculi sotto capezzoli inturgiditi dal fresco della brezza notturna che viene dal mare.
Gaspare non pensa che a bere cocktail, uno dietro l’altro, ballando musica house in stile C.O.C.C.O. al chiaro di luna.
Nessun pensiero lo tange, fermo e immobile nell’animo, mentre fa oscillare il corpo al ritmo dell’ennesima hit sparata a diecimila watt dal deejay del baracchino sul mare. Un manipolo di ragazze molto piu’ giovani di lui prendono a fare giochi lesbo, sculettando il perizoma a ritmo di cassa.
La pace dei sensi. Non ricorda ne’ Alessandra di Padova, abbandonata ansimante su un letto sudato, ne’ quelle gambe perfette di quella donna che, insieme a lui, ha passato tre giorni a base di champagne e cocaina.
Spingi e aspira.
Inala e stappa.
Versa e bevi.
Sorridi.
E fallo di nuovo.

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Una fotografia ha un potere esagerato, talvolta. Sudore freddo e giramenti di testa quando tornano in mente una serie di eventi concatenati che hanno una sola persona come diretta responsabile...

Ascolta, Fra… si, sono Paolo… si, sono quattro anni che non ti chiamo, ok, lascia per… oh, mi fai par… mi fai parlare? Stai zitta, per favore, che gia’ non avevo la minima intenzione di chiamarti, ma… si, sono via, sto beno… sto benone, oh, mi stai zitta due secondi?
Ooh… vacca di’…

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Il fulmineo incrocio di sguardi di occhi ghiacciati. I piedi callosi che disegnano strani simboli sulla terra punteggiata di costellazioni di noccioli di olive. Barba bianca. Mani che tremano. E in un lampo, senza motivo, una serie di ricordi imprevisti.

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La pelle liscia e tesa dell’interno coscia e’ piu’ calda della sua mano d’agosto. Una bellezza del genere sul sedile della sua MG, senza dover pagare una lira, gli sembra semplicemente un furto, ne piu’ ne meno.
Dopo essersi acceso una Muratti, si slaccia lentamente i bottoni della camicia azzurra, intervallando ad ogni asola una boccata di fumo e un’occhiata alle gambe di quella donna che da tre giorni si porta appresso, senza nemmeno sapere il suo nome. Non gli sembra un sogno perche’ i sogni che fa sono molto piu’ logici di quello che gli sta succedendo (ha sempre avuto una fantasia piuttosto scarsa, in effetti): non crede sia un sogno semplicemente perche’ sta pensando sia tutto quanto folle, eventi governati dal caos, marasma, casino, ecco qua.
Sistema il sedile in modo piu’ comodo, appoggia la nuca alla pelle nera e ricomincia a guardare lei, ancora immobile nel vestitino nero di seta, tra il profumo dei capelli che ha inondato l’abitacolo e il lento respiro che muove il petto su e giu’, lasciando trasparire lo spessore dei capezzoli che d’improvviso diventano vivi.

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